• CfP #20: Semiotica e design. Storie, idee, prospettive

    2023-11-15

    a cura di Dario Mangano e Ilaria Ventura Bordenca

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    Il numero intende esplorare i rapporti intercorsi, in una dimensione storica, tra design e semiotica. Gli approcci dei contributi possono essere di duplice natura: da una parte l’esplorazione della dimensione dello Strutturalismo e delle sue connessioni con il design, il dibattito sul progetto, l’uso nella didattica e gli esiti che ne conseguono, e dall’altra l’uso della semiotica come chiave interpretativa del design nelle diverse culture progettuali. Ci si vuole interrogare su come la scienza dei segni (e dei loro significati) abbia influenzato il lavoro di progettisti e storici in Italia e altrove e su quali strade si possano ancora percorrere.

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  • CfP #19: Il design e i limiti dello sviluppo

    2022-10-26

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    ** scadenza prorogata: 7 gennaio 2023 **

    Questa proposta per il #19 di “AIS/Design Storia e ricerche” intende esplorare in quale modo la cultura del design si sia confrontata, nel corso del Novecento – attraverso teorie, proposte e progetti – con il tema della sostenibilità ambientale e, più in generale, con i limiti dell’utilizzo delle risorse.
    All’interno della cultura del design è infatti possibile riscontrare, fin dalla prime fasi dello sviluppo tecnologico ottocentesco, la presenza, di due indirizzi: il primo sinergico al modello produttivo industriale, il secondo più critico verso gli squilibri che questo ha provocato.

    La consapevolezza che i processi di produzione modificassero le condizioni ambientali risale all’età classica, ma l’efficacia nella ricerca delle soluzioni non è stata costante nei diversi momenti storici.
    Nel corso del XX secolo, le due visioni (quella del problem-solving collaborativo e quella della contrapposizione), hanno sviluppato teorie e progetti che hanno alimentato, all’interno delle discipline del progetto, un dibattito non ancora storicizzato. Come non appare ancora storicizzato quell’ampio movimento di idee, sostenuto da progetti di comunicazione bottom-up che, influenzando attraverso l’opinione pubblica la cultura economico-politica, ha promosso la nascita di vincoli legislativi divenuti elementi di indirizzo anche per lo sviluppo dei prodotti industriali.
    Alla filosofia della wilderness e alla ricerca dell’ecoefficienza, si è venuta così aggiungendo un’attenzione verso un utilizzo delle risorse in chiave di giustizia inter-generazionale.

    Poiché – come illustrato nel testo completo della call, a cui si rimanda – il modello di produzione industriale, la tutela dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile e la cultura del design possono essere considerati come fattori interrelati, appare opportuna una storicizzazione di queste relazioni che permetta di consolidare la comprensione di alcuni eventi.
    La call si propone di individuare contributi che indaghino e approfondiscano le seguenti direttrici di ricerca storica:

    • le relazioni tra cultura del design e movimenti per la salvaguardia dell’ambiente e per lo sviluppo sostenibile;
    • design della comunicazione e promozione della cultura ambientalista;
    • il design del riuso e il contributo del design alla presa di coscienza ambientale;
    • il tema del design per l’ambiente nelle culture d’avanguardia degli anni Sessanta e Settanta;
    • i concorsi e le mostre collegate al tema del design per la sostenibilità;
    • le teorizzazioni nel campo del design per l’ambiente e per la sostenibilità;
    • pratiche e progetti inediti legate al tema del miglioramento dell’impatto dei prodotti sull’ambiente;
    • approcci critici e pratiche migliorative dei modelli di consumo;
    • il contributo del design all’utilizzo di tecnologie e risorse energetiche alternative.

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  • CfP #18: Italy: the New Domestic Landscape. I primi cinquant’anni

    2022-09-09

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    Il 2022 segna il cinquantesimo anniversario della più grandiosa – anche in termini di dimensioni- mostra sul design italiano mai organizzata, Italy: the New Domestic Landscape: Achievements and Problems of Italian Design promossa dal MoMA di New York e curata dall’architetto argentino Emilio Ambasz tra maggio e settembre del 1972.
    I fatti sono noti, consegnati alle cronache e talvolta anche alle leggende: centosessanta oggetti e quattordici environments (undici su incarico diretto e tre vincitori del concorso per giovani), i primi scelti da Ambasz e gli altri commissionati dal MoMA, ricevono il supporto economico e organizzativo dell’Istituto per il Commercio Estero italiano e di molti sponsor tecnici, che contribuiscono a una spesa totale di 1,5 milioni di dollari nel quadro della mostra più impegnativa, dal punto di vista finanziario, della storia del museo.
    La risposta di pubblico e critica è coralmente entusiasta e la mostra merita titoli come MoMa Mia, That’s Some Show.

    A fronte di tale successo, tuttavia, gli studi scientifici prodotti negli ultimi cinquant’anni sono stati prevalentemente rivolti all’ambito degli environments, dove più flagrante era l’eco del progetto radicale, a selezionati esempi di indubbia autorialità (Sottsass, Aulenti, Bellini, Rosselli…), talvolta anche a sporadiche riflessioni sulla dimensione critica e politica di talune frange del pensiero progettuale, espressive di una feroce critica alla logica dei consumi.

    Il numero di AIS/design Journal dedicato intende richiamare gli studiosi negli ambiti della storia del progetto (design, architettura, comunicazione, produzione) ad affrontare la mostra da punti di vista meno frequentati quali:

    • i contributi critici rintracciabili nella pubblicazione di accompagnamento e/o nella ricezione della stampa specializzata e generalista in Italia e nel panorama internazionale oltre che, ovviamente, la struttura del libro stesso;
    • il ruolo delle aziende coinvolte nella realizzazione, esposizione e sostegno della mostra;
    • gli incroci tra le sezioni e le categorie ostensive, letti attraverso i protagonisti;
    • la chiara affermazione di un pensiero strutturale sul design come attrezzatura, sullo sfondo del dibattito in atto nel Paese in quegli anni.

    Il pensiero di Ambasz era ambizioso e mirava alla ricostruzione di un quadro completo dell’“Italian job” che, nelle sue dichiarate intenzioni, si stagliava in maniera precisa ed originale nel contesto globale.

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